13.06.2019Alto Adige

Montagnaterapia: curandosi in cima di Silvia Fabbi

Dieci anni fa muoveva i primi passi il progetto di Montagnaterapia, organizzato in collaborazione con il Cai di Bolzano per persone con problemi di salute mentale. Oltre 600 le uscite organizzate, coinvolte centinaia di utenti dei Centri di Salute Mentale. A Merano l'Avs organizza giornate di…

Compie dieci anni il progetto di Montagnaterapia di Bolzano, nato da una collaborazione fra il
Servizio Psichiatrico del Comprensorio del capoluogo e la Commissione Escursionismo e la scuola di
alpinismo del Cai di Bolzano. Il progetto si rivolge a persone con problemi di salute mentale residenti
sul territorio o seguite da strutture del servizio pubblico. Oltre 600 le uscite organizzate nel corso di
questi due lustri solo nell’ambito del progetto Wander-ful, dalle semplici escursioni – ad esempio
sull’Alpe di Rodengo, sull’Alpe di Villandro o alla Malga Tuff di Fiè allo Sciliar – e visite guidate – come
quelle ad Artesella o al sentiero dei Pianeti all’osservatorio San Valentino in Campo – alle più sfidanti
salite e cime – Cristo Pensante, monte Puez – alle ferrate come l’impegnativa ma entusiasmante
salita sulla Roda di Vael, alle ciaspolate invernali e alle slittate sulla neve passando per le gite estive di
due giorni con pernottamento in rifugio fino agli allenamenti alla palestra di arrampicata Cube di
Bolzano Sud. Prendendo spunto da iniziative analoghe già sperimentate in tutta Italia, il primo
progetto di Montagnaterapia della provincia di Bolzano è nato negli anni Duemila a Salorno con il
gruppo di Montagnaterapia El Prosac i cui fondatori hanno fatto da pionieri nello sperimentare i
benefici fisici e psicologici sui pazienti con disagio mentale delle attività all’aria aperta. Oggi sono
centinaia le persone affette da patologie e disabilità psichiche, inviate dalle équipe dei Centri di
Salute mentale del comprensorio o dalle strutture che fanno riferimento al servizio psichiatrico
(Centro di Riabilitazione Psichiatrica di Bolzano e Salorno, Comunità alloggio, Centro Diurno) che
partecipano al progetto Montagnaterapia. I partecipanti sono utenti, operatori psichiatrici e
accompagnatori Cai.
A Bolzano i progetti sono due. Il primo è quello di Montagnaterapia – Wander-ful (neologismo
derivato dalla parola tedesca “wandern” e la parola inglese “wonderful”) di Bolzano è nato nel 2009
grazie all’impegno dei soci accompagnatori Cai Cesare Cucinato, Claudio Rossi e Willy Marchiori.
Inizialmente le prestazioni fisiche del gruppo non era molto alto, con gite di 300-400 metri di
dislivello, ma col tempo, man mano che il progetto diveniva più avviato e solido, si sono raggiunti e
superati i 1.000 metri di dislivello. Il secondo è invece il progetto Wasserläufer (dal nome tedesco
dell’animaletto camminatore dalla proprietà di galleggiare sull’acqua senza affondare), nato nel 2014
per utenti più giovani per età (fra i 18 e i 40 anni) o per storia di malattia: si tratta spesso di persone
all’esordio dei sintomi. Le uscite in montagna si svolgono una volta al mese per 11 mesi l’anno.
D’inverno si va con ciaspole, ramponi o slitta, d’estate si pernotta anche una volta in rifugio. Man
mano che si procede con le uscite cresce la solidarietà reciproca, mentre il senso di appartenere a un
gruppo coeso insieme ai piccoli progressi fisici dei singoli partecipanti aiutano a mantenere alta la
motivazione. La cosa più difficile, come spesso accade, è muovere il primo passo. Un po’ come
accade a tutti noi quando, comodamente seduti sul divano di casa nostra, pensiamo: “Ma chi me lo
fa fare?” e accantoniamo l’ottima idea di uscire a fare una corsa o anche solo una semplice
passeggiata. Per chi soffre di una malattia psichica le resistenze ad adottare uno stile di vita più attivo
e salutare sono ancora maggiori. “I nostri utenti hanno bisogno di una persona che li accompagni a
fare esperienze nuove. Alcuni sono convinti di non essere in grado di svolgere un’attività sportiva e di

raggiungere obiettivi di una certa portata” spiega Petra Bacher, coordinatrice tecnico-assistenziale
del Centro di riabilitazione psichiatrica Bolzano/Gries di via Fago.
La tesi di master clinico scritta da Bacher oltre dieci anni fa indagava i motivi dell’inattività fisica
dell’utenza psichiatrica e i benefici fisici, psichici e sociali che potrebbero invece ottenere persone
affette da patologie psichiche attraverso l’esercizio regolare. Nelle conclusioni della tesi si mette a
fuoco come sia fondamentale l’offerta di attività fisica regolare da parte dell’istituzione psichiatrica ai
propri ospiti, che altrimenti se lasciati a se stessi difficilmente la praticherebbero. Nel 2009 dunque,
grazie alla disponibilità di alcuni soci del Cai di Bolzano e al parere favorevole dell’Azienda Sanitaria e
del Servizio Psichiatrico, il sostegno di un medico e all’impegno di alcuni operatori del Centro di
Riabilitazione Psichiatrica e del Centro di Salute Mentale, il progetto di Montagnaterapia ha
letteralmente mosso i primi passi, con gli operatori e il Cai di Salorno che hanno posto le basi per
partire con un progetto di ampio respiro. Per dare l’opportunità di allenarsi gradualmente sempre di
più e favorire uno stile di vita sano, il team tecnico-assistenziale del Centro di Riabilitazione
Psichiatrica e del Centro Diurno di Bolzano/Gries hanno iniziato a organizzare uscite di allenamento
che propongono una camminata cinque volte la settimana. L’offerta prevede un’ora di walking in
salita a passo moderato sulle passeggiate del Guncina, un’ora di camminata veloce lungo il Talvera
verso il Museion e camminata media di un’ora lungo il Talvera fino al ponte Sant’Antonio” spiega
Bacher. Un’iniziativa risultata molto utile, perché tutti sono capaci di camminare. Così anche
l’escursionismo diventa un’attività alla portata di tutti, con pochi rischi di infortuni. “In ogni caso
l’attività deve portare la persona ad un vissuto di successo, nella quale vengono notati in modo
chiaro e sensibile l’aumento della resistenza e il miglioramento dello stato di salute generale, nonché
il piacere di poter condividere con altri una bella giornata all’aria aperta” prosegue Bacher.
Analogamente a quanto accade alle persone cosiddette “sane”, per la persona con disturbo psichico
l’attività fisica ha effetti estremamente positivi che si traducono in modo diretto e immediato in una
maggiore attivazione generale (partecipazione alla vita), aumento dell’autoefficacia che porta a
maggiore fiducia in se stessi (raggiungimento di obiettivi), allo spostamento graduale dei propri limiti
e a una maggiore confidenza nelle interazioni sociali.
In un approccio olistico a qualsiasi fenomeno che mini l’integrità psichica dell’individuo, l’obiettivo
primario della terapia punta a ricostituire un’idea unitaria di sé a partire dal miglioramento della sua
capacità di muoversi e interagire con le persone e l’ambiente. “L’attività fisica all’aria aperta
restituisce al soggetto l’esperienza di un’interazione positiva con l’ambiente naturale e sociale che lo
circonda, motivandolo a ripetere l’esperienza e modificando di conseguenza anche l’immagine che il
soggetto ha di se stesso” spiega Bacher. Al contrario, l’incapacità del paziente a muoversi e ad
interagire con le persone e l’ambiente ha enorme influenza (in negativo) sul concetto di sé, la
funzione di ruolo e l’interdipendenza dell’individuo. Assieme a questo positivo effetto cognitivo-
identitario, un soggetto che slitta, arrampica o cammina all’aria aperta sperimenta anche tutti gli
effetti fisici di queste attività: miglioramento del tono e della funzionalità muscolare nonché
dell’elasticità di tendini ed articolazioni, aumento della produzione di vitamina D, produzione di
globuli rossi con conseguente aumento dell’apporto di ossigeno ai tessuti e dilatazione dei vasi
sanguigni con effetti positivi sul processo arteriosclerotico, abbassamento della risposta nervosa di
stress (diminuzione della frequenza cardiaca e respiratoria a riposo), miglioramento del livello di
affaticamento (abbassamento di adrenalina, noradrenalina e cortisolo), cui si associano un calo del
40% del rischio di malattia coronarica e un aumento delle dimensioni del cuore, con effetti benefici
anche sull’economia del respiro e un potenziamento generale del sistema immunitario. L’attività
fisica regolare ha inoltre effetti preventivi e positivi nei confronti di ipertensione arteriosa, diabete e
colesterolo alto. “Ancora non si sa bene che cosa, del praticare attività fisica, provochi invece gli
effetti positivi a livello psichico: se la distrazione dai problemi quotidiani, l’effetto rilassante del
riscaldamento muscolare, l’orgoglio di essere riusciti ad impegnarsi o la messa in circolo di endorfine

– gli ormoni della felicità – che il corpo produce quando il fisico è sottoposto a uno sforzo. Diversi
studi dimostrano comunque che l’allenamento moderato ma regolare aiuta a migliorare i sintomi di
stress, ansia e depressione” prosegue Bacher. “Il gruppo diventa uno spazio dove sperimentare la
solidarietà, la cooperazione, condividere le emozioni, rendere sostenibili le paure, indagare il confine
di dove possiamo giungere ed essere consolati nell’accettare l’idea che più di questo non possiamo
fare, per lo meno oggi” spiega Verena Segato, che lavora al Centro di Salute Mentale di via del Ronco
a Bolzano e insieme a Jonas Stecher e Martina Graf – anche loro infermieri al Centro di Riabilitazione
Psichiatrica di via Fago – è referente del progetto Wasserläufer.
L’idea è stata quella di formulare un’offerta ad hoc per pazienti più giovani, a volte provenienti da
ambienti poveri dal punto di vista delle offerte per la strutturazione del tempo libero (ambienti
familiari difficili, vissuti di violenza, uso di stupefacenti). La differenza rispetto alle attività del
progetto Wander-ful è la proposta di percorsi ancora più impegnativi o di più giorni (dislivelli dai 700
ai 1.500 metri), difficoltà tecniche maggiori e diversificazione nell’offerta (arrampicata sportiva in
palestra, ferrate gite speleologiche, ciaspolate, slittate, uscite in notturna). “Ogni anno sono fra i 60 e
gli 80 i giovani coinvolti nelle varie uscite. Attualmente gli iscritti sono 18 e a ciascuna uscita
prendono parte in media fra i 7 e i 13 ragazzi” continua Segato. In entrambi i tipi di uscita il lavoro
viene integrato con gli eventuali trattamenti medici, psicologici e socio-educativi già in atto. “Le
attività di Montagnaterapia richiedono l’utilizzo di comprovate competenze cliniche e l’adozione di
appropriate metodologie, che riguardano anche la specifica formazione degli operatori e la verifica
degli esiti” precisa Segato. Scorrendo i verbali delle uscite si scopre che solo grazie ad esse qualcuno
dei partecipanti ha visto per la prima volta la neve o l’alba dalla cima di una montagna. “Oggi ho
iniziato con poco entusiasmo ma l’amore per la montagna mi ha aiutata a cambiare atteggiamento e
pensiero mentale. La fatica e la salita mi hanno messa a confronto con i miei limiti e le mie
debolezze, ma mi hanno aiutata a capire che solo con la sfida e la fatica si ottengono risultati e
soddisfazioni. Vedere il Cristo Pensante ed arrivare in cima alla montagna mi ha fatto capire che le
mete sono sempre delle conquiste e il percorso per raggiungerle è più importante della meta stessa”
ha scritto Ester dopo l’escursione organizzata a settembre 2014. I gruppi che partecipano alle uscite
sono misti, utenti e infermieri, amici, parenti, volontari, ma soprattutto gli accompagnatori della
commissione escursionismo e della scuola di alpinismo della sezione di Bolzano del Cai, che in
qualche occasione organizzano e svolgono le uscite in collaborazione anche con l’Alpenverein
Südtirol. “Quando usciamo per queste escursioni, di qualsiasi genere esse siano, dopo un po’ diventa
difficile distinguere chi è sano da chi ha un problema psichico. In queste occasioni siamo un gruppo
omogeneo accomunato unicamente dalla voglia di stare insieme in montagna” spiega, riprendendo il
commento di un’utente, Cesare Cucinato del Cai di Bolzano, che insieme a Willy Marchiori e al
collaboratore Claudio Rossi organizza il calendario delle uscite mensili del progetto Wander-ful.
Nell’arco dei dieci anni l’attività è stata sempre condotta con risorse proprie, oltre alle offerte di
alcuni istituti di credito del territorio: Volksbank e la ditta Silbernagl che hanno contribuito alle spese
per alcune escursioni in pullman, e Fondazione Sparkasse, Servizio Psichiatrico di Bolzano e l’azienda
altoatesina Salewa per l’acquisto di caschi, imbraghi e set da ferrata utilizzati dal gruppo dei giovani.
Per i partecipanti alle attività di montagnaterapia il Cai offre il tesseramento a prezzo ridotto (20 euro
invece di 42) e l’imprenditore Heiner Oberrauch, titolare del Salewa Cube di Bolzano Sud, offre loro la
possibilità di frequentare gratuitamente la palestra.
Sempre al Salewa Cube, così come alla palestra di arrampicata di Appiano per l’edizione 2018,
vengono annualmente organizzate le giornate di ConTATTO verticale, dedicate all’arrampicata dei
non vedenti. A promuoverle, in collaborazione con Ulla Walder dall’Alpenverein Südtirol, è l’ex top
climber Pietro dal Pra, oggi dipendente di una nota azienda trentina di abbigliamento sportivo da
montagna.

Ma anche a Merano qualcosa si muove. Alla palestra Rockarena di Merano gestita dall’Alpenverein
Südtirol il responsabile Andi Sanin organizza 10 lezioni l’anno di arrampicata per ragazzi disabili.
L’idea è nata proprio da Sanin, docente di educazione fisica al Gymme (Gymnasium Meran) di
Merano e in passato allenatore della sei volte campionessa del mondo di arrampicata su ghiaccio
Angelika Rainer. Insieme alla sua collega Helene Mathà, Sanin ha deciso tre anni fa di proporre
l’arrampicata ai suoi studenti in orario extra curricolare. Oggi sono circa 7 i ragazzi fra i 14 e i 18 anni
che circa una volta al mese partecipano alle lezioni di arrampicata alla Rockarena di Merano, con
risultati in alcuni casi stupefacenti. “Durante le prime lezioni in palestra naturalmente nei ragazzi la
paura è forte. Man mano che prendono dimestichezza con il proprio corpo e con la parete però
iniziano a credere di più in se stessi. La maggiore fiducia li porta a ottenere risultati atletici migliori.
Questo rafforza ulteriormente la loro sicurezza e personalità. L’effetto dell’attività fisica sugli
studenti, in particolare su quelli disabili, si è dimostrato così positivo che noi insegnanti cerchiamo
costantemente di far partecipare i ragazzi alla maggior parte di attività fisiche e sportive possibile”
prosegue Sanin. Oltre che un modo per acquisire maggiore consapevolezza di sé, l’arrampicata
diventa in queste occasioni anche un potente strumento di integrazione. “Una decina di studenti
normodotati appassionati di arrampicata ci aiuta ad assicurare i ragazzi disabili in palestra, facendo sì
che il confine fra normalità e disabilità si assottigli fino ad annullarsi” conclude Sanin.

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