Un portabandiera altoatesino, Florian Planker, e un podio sfiorato per la squadra italiana di para eishockey alle Paralimpiadi invernali: quello passato è stato un anno eccezionale per gli atleti della nazionale iridata, la gran parte dei quali è cresciuta – sportivamente parlando – proprio in Alto…
Una figura simbolo di questo vivaio radicato nel Gruppo Sportivo Disabili Alto Adige è proprio
 Planker. Dipendente di banca, dopo l’incidente nel quale ha perso una gamba il quarantenne
 gardenese ha trovato sin da subito nello sport una seconda vocazione, trasformandosi in un
 promotore dell’attività fisica per disabili attraverso il gruppo fondato nel 1990 dall’attuale presidente
 Markus Kompatscher. Classe 1977, originario di Selva di Val Gardena, Planker ha giocato un ruolo da
 protagonista nelle discipline invernali paralimpiche a livello nazionale, collaborando nel 2007 alla
 continua crescita della squadra italiana che l’anno scorso a Pyeongchang ha fatto sognare il Paese,
 portando sotto i riflettori l’hockey su slittino – noto anche come sledge hockey o para ice hockey –
 che dal 1994 è una delle specialità paralimpiche e che in Italia conta appena tre squadre: il
 campionato se lo disputano le South Tyrol Eagles di Bolzano, i Tori Seduti di Torino e i Brancaleone di
 Varese. Un singolo numero è sufficiente a rappresentare il primato altoatesino nel para ice hockey
 nazionale: dei 22 titolari convocati ai Giochi 2018, ben sette (oltre a Planker, Gianluigi Rosa, Nils
 Larch, Christoph Depaoli, Werner Winkler, Gianluca Cavaliere e Stephan Kafmann) erano altoatesini.
 Da buon gardenese, la passione per il ghiaccio Planker l’ha sempre avuta sin da quando, a 4 anni, ha
 impugnato una stecca per la prima volta. “La carriera da giocatore professionista era il sogno che ho
 perseguito per tutta l’infanzia e l’adolescenza” racconta Planker. Nel 1994 aveva 17 anni quando è
 rimasto coinvolto in un incidente motociclistico costatogli una gamba. Il primo sport che è tornato a
 praticare è stato lo sci. “Erano in corso le Paralimpiadi di Lillehammer ed io ero ancora ricoverato in
 clinica a Bad Häring in Tirolo. Fu allora che vidi per la prima volta gare di sciatori su una gamba e
 pensai: perché no?” racconta Planker, che da allora ha preso parte a sei Paralimpiadi, le prime
 sciando e dopo il 2006 dedicandosi al suo primo amore, quello per l’hockey. Fino all’ultima
 partecipazione, l’anno scorso, quando il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha affidato il
 tricolore italiano nelle sue mani prima della partenza per la Corea del Sud. “Una volta rimesso piede
 sul ghiaccio mi sono subito sentito a mio agio, ritrovando le sensazioni che conoscevo e riprendendo
 il ruolo di prima, quello di attaccante. Certo, molte cose sono diverse: adesso le braccia devono
 manovrare il disco e pattinare insieme, per farlo devi essere molto veloce e coordinato. Non potendo
 poi pattinare all’indietro, devi imparare a girarti curvando” prosegue Planker, che afferma di
 considerarsi fortunato anche per il fatto lavorare in una grande realtà, l’istituto di credito Banca
 Popolare dell’Alto Adige/Volksbank, dove “sono stato sempre agevolato nella partecipazione agli
 allenamenti, alle competizioni e alle trasferte internazionali, cosa che magari in realtà più piccole non
 sarebbe stata possibile”.
 L’importanza dell’attività sportiva è da sempre un tema caro all’assessorato provinciale a Salute,
 Sport, Politiche sociali e Lavoro, che nel Contratto intercompartimentale dei dipendenti pubblici per il
 triennio 2016-18 ha inserito un articolo che concede agli atleti di livello agonistico fino a 10 giorni
 l’anno per congedi e permessi per allenamenti e gare. Uno di coloro che ne beneficiano è Julian
 Kasslatter, classe 1982, portiere dei South Tyrol Eagles, che come Planker è di origine gardenese.
 Kasslatter è affetto sin dalla nascita da una malformazione agli arti inferiori che limita la sua mobilità.
 Oltre che per la sua carriera sportiva, il volto di Julian è conosciuto da molti anche per il suo lavoro di
 usciere a Palazzo Widmann, la sede della Giunta provinciale dell’Alto Adige, dove accoglie
 quotidianamente visitatori, dipendenti e assessori dell’amministrazione. “Mi piace viaggiare per
 partecipare ai tornei, allenarmi insieme ai miei compagni ma soprattutto lo spirito che si crea
 giocando insieme: senti di far parte di una squadra che lavora in sinergia per raggiungere un obiettivo
comune” racconta Julian. Ma il primato altoatesino non si esaurisce con le prestazioni della squadra
 titolare. In provincia esiste anche l’unica squadra italiana di para ice hockey per bambini: i
 Junghechte (giovani lucci) di Caldaro. Fondatore e allenatore del gruppo è Werner Winkler, che perse
 la gamba sinistra all’età di 15 anni mentre, in motorino con un amico, tornava da una festa di
 compleanno. Dopo aver provato in prima persona diversi sport, oggi Winkler gioca a para ice hockey
 con i South Tyrol Eagles e nel 2018 ha partecipato alle Paralimpiadi di Pyeongchang come titolare.
 Ma, soprattutto, Winkler ha dato vita all’unica squadra esistente in Italia di para ice hockey per
 bambini e ragazzi, che quest’anno festeggia i dieci anni di attività. Attualmente sono 5 gli under 16
 che si allenano a Caldaro, spesso insieme ai colleghi più grandi degli Eagles fra cui anche Winkler
 stesso. I giocatori più giovani, due fratelli affetti dalla stessa malattia genetica che impedisce loro
 l’uso delle gambe, hanno appena 6 e 8 anni. David e Samuel Weihprachtitzky si allenano con David
 Ambach, 16 anni, penalizzato fisicamente dagli effetti della spina bifida, presente in squadra sin dalla
 sua fondazione, Leonard Luis Lange e Sebastiano Nardin, oltre che – fra gli adulti – l’unica donna che
 in Alto Adige pratica questo sport, Anita Caminada. “Il ruolo di pionieri lo conosciamo bene sin dal
 2005 quando l’Italia ha preso parte per la prima volta ai campionati europei e mondiali, oltre che alle
 prime Paralimpiadi: la delegazione altoatesina era presente sin dall’inizio” racconta Winkler. “Per
 questo sport è sempre stato difficile coltivare un grande vivaio di giovani. Le cose sono cambiate nel
 2009 quando abbiamo attivato la squadra giovanile di Caldaro. Ancora oggi sono pochissimi gli
 esempi del genere anche a livello internazionale, ma il sogno al quale stiamo lavorando
 concretamente sarà la creazione di una nazionale giovanile, come già esiste negli Usa e in Canada”
 racconta Winkler, sempre a caccia di nuovi talenti desiderosi di imparare a maneggiare stecca e puck.
 Sempre dal 2009 ha iniziato poi gli allenamenti anche una squadra di hockey in carrozzina a motore, i
 WH Tigers Bolzano, composta da persone con distrofia muscolare e sclerosi multipla. “In questo
 modo anche giocatori con una ridottissima forza fisica possono praticare un’attività fisica sentendosi
 parte integrante della nostra società e tirando fuori la grinta, l’agonismo, e la forza” si legge nel sito
 della squadra, composta da giocatori di età compresa fra 8 e 49 anni e guidata da Clemens
 Innerhofer, presidente della società nonché capitano della squadra. Ne è passato, di tempo, da
 quando nel 1948 il neurochirurgo tedesco Ludwig Guttman ebbe l’idea di organizzare in Inghilterra
 gare sportive per soldati gravemente feriti in guerra. Quell’anno Guttman organizzò prima dei veri e
 propri Giochi olimpici in contemporanea a quelli di Londra, ma solo nel 1960 si svolsero a Roma le
 prime Paralimpiadi con questo nome. Oggi gli atleti paralimpici e gli sportivi con disabilità che
 praticano attività a livello dilettantistico sono diventati dei veri modelli di successo, insidiando e a
 volte polverizzando i record dei normodotati in diverse discipline. Il caso più eclatante si ebbe a Rio
 2016, quando Abdellatif Baka, algerino di 22 anni con deficit visivo corse i 1.500 su pista battendo di
 quasi due secondi il vincitore dell’oro fra i normodotati. Ma non basta, perché in quell’occasione
 anche il secondo, il terzo e il quarto dei fondisti che tagliarono il traguardo dopo Baka corsero più
 velocemente del primo classificato fra i normodotati. Ma non sono solamente queste stupefacenti
 performances atletiche ad affascinare sportivi e non. La forza di volontà, la positività e la tenacia
 degli atleti paralimpici riescono a imprimersi con sempre maggiore forza nell’immaginario collettivo.
 Il segreto di questo fascino si ritrova nelle parole di Claudia Schuler (30), che racconta: „Quando
 faccio sport, la mia attenzione è focalizzata sul momento presente, su quello che riesco a fare con il
 mio corpo. Tutto ciò che non posso fare in quei momenti passa in secondo piano”. Appena nata, un
 errore medico durante un intervento chirurgico le ha fatto perdere l’uso della parte inferiore del
 corpo. Sin da quando era piccolissima Schuler è costretta a muoversi in carrozzina. Ma la ricerca della
 “normalità” è sempre rimasta al centro della sua esistenza. Sette volte campionessa italiana di
 handbike, dal 2007 al 2013 Schuler ha calcato i gradini più alti dei podi internazionali, diventando un
 punto di riferimento per la sua specialità nella categoria femminile. Le due vittorie più care, però,
 restano quelle conseguite nel 2013 nella tappa di Coppa del mondo di Merano, con il primo posto sia
nella corsa su strada che nella tappa a cronometro di Marlengo. Per Schuler, che vive a Plaus dove
 lavora alla reception dell’albergo di famiglia, vincere davanti al pubblico di casa “è stata un’emozione
 incredibile, complice il supporto dei tifosi che è stato davvero favoloso”. Dal 2016 Schuler ha lasciato
 l’attività agonistica, iniziata nel 2004 sotto l’ala del mentore e apripista venostano Roland Ruepp,
 doppietta di ori olimpici ai Giochi di Salt Lake City del 2002 nella 5 e nella 10 chilometri di sci da
 fondo e bronzo nel biathlon nella stessa edizione delle paralimpiadi prima di convertirsi con successo
 anche all’handbike, vincendo nel 2010 il primo Giro d’Italia nella categoria H3. All’epoca guida alpina
 e membro del soccorso, nel 1990 Ruepp cadde durante un’arrampicata sul massiccio del Sesvenna.
 La lesione spinale che riportò lo costringe da allora in sedia a rotelle, ma gli ha aperto le porte dello
 sport agonistico che lo ha visto prendere parte ai Giochi invernali di Lillehammer, Nagano, Salt Lake
 City e Vancouver. Oggi la trentenne venostana immagina per sé un futuro “come mental coach per
 altri sportivi o come psicologa dello sport. Anche di fare attività fisica non smetterò mai, perché fa
 benissimo sia al corpo che alla mente. Mi piace andare in bici con la mia nipotina di tre anni, come
 facevo sin da piccola con le mie compagne di scuola. Ho sempre cercato di partecipare alle loro
 attività nonostante i miei limiti fisici e col tempo ho scoperto di potere persino arrampicare e
 nuotare. Il vero limite sta solo nella nostra testa”. Proprio per consentire a Claudia di scalare, il
 responsabile della palestra di arrampicata dell’Alpenverein Südtirol di San Genesio Egon Larcher ha
 fatto in modo di tracciare alcune vie a misura di paraplegico. L’unica sè stessa che Claudia conosce, è
 la Claudia in carrozzina. Per questo, racconta, “non considero la mia una vera disabilità bensì il mio
 modo di essere da sempre. Invece per chi ha perso l’uso delle gambe in età adulta o a causa di un
 incidente le cose sono molto più difficili, la realtà è molto più dura da accettare”.
 Eppure per Ivan Tratter (28) la vita dopo l’incidente avvenuto nel 2011, all’età di 19 anni, “non è
 diventata peggiore, soltanto diversa”. Dopo essere finito contro un albero durante una slittata al
 chiaro di luna insieme agli amici, Ivan ha riportato la frattura delle vertebre dorsali con lesione del
 midollo spinale, con una conseguente paraplegia irreversibile. Da giocatore amatoriale di calcio, oggi
 Ivan è diventato uno dei più forti giocatori del mondo di tennis in sedia a rotelle e il suo obiettivo
 dichiarato sono le qualificazioni per le Paralimpiadi di Tokyo 2020. Il requisito è semplice: “A maggio
 2020 devo essere entro i primi 40 del mondo. Attualmente sono proprio al numero 40” racconta
 Ivan, a settembre 2018 al primo posto nella classifica italiana della sua specialità. “Facendo sport a
 livello agonistico ho preso parte a ben 16 tornei internazionali. Negli ultimi otto anni ho vissuto
 esperienze che hanno arricchito la mia vita in modo tale che oggi non potrei immaginarla priva di
 esse e alle quali non vorrei mai fare a meno neanche in futuro” prosegue Ivan, che oggi si allena
 quotidianamente per almeno un’ora con la racchetta, e poi ancora nuotando in piscina per
 aumentare la resistenza aerobica e dedicando ulteriore tempo alla pratica dei movimenti sulla sua
 speciale sedia con le ruote inclinate e la ruota posteriore anti-ribaltamento, per mantenere l’agilità di
 movimenti e spostamenti da una parte all’altra del campo. Uno dei compagni preferiti di
 allenamento è suo fratello Florian di 24 anni. “Riusciamo a giocare spesso assieme, mi piace
 allenarmi con lui” racconta Ivan, che dopo il primo shock post-incidente ha riscoperto l’amore per lo
 sport al centro di riabilitazione austriaco di Bad Häring. “Fare sport mi è sempre piaciuto, ma quando
 ho provato per la prima volta il tennis e il basket in carrozzina ho capito subito che avevo trovato la
 mia strada” racconta Ivan. Proprio il Centro Auva (l’Inail austriaco) di Bad Häring è stato il luogo dove
 molti atleti paralimpici hanno incontrato per la prima volta il mondo dello sport per persone con
 disabilità. Il livello di cure offerto dalla struttura, l’impostazione che punta a rendere il paziente il più
 autonomo e indipendente possibile e infine il massiccio ricorso all’attività fisica in ottica riabilitativa
 hanno spinto la Provincia di Bolzano a stipulare una convenzione con il Centro sin dai primi anni
 Ottanta. Nel 2017 sono stati 38 gli altoatesini che vi hanno trascorso un periodo di riabilitazione, per
 una spesa di poco superiore ai 900.000 euro. Nel giugno scorso la convenzione è stata rinnovata
 anche per il prossimo triennio, con scadenza a fine 2021. Grazie ad essa gli invalidi civili altoatesini
possono usufruire del rimborso su tutte le prestazioni del centro, inclusa quella del cosiddetto
 “ginocchio elettronico” del costo di alcune decine di migliaia di euro, che consente ai pazienti
 amputati movimenti più agili rispetto alle normali protesi normalmente utilizzate in Italia. “Di sera
 per ricaricarlo lo attacco alla corrente proprio come un cellulare. Oggi se ripenso alle mie prime
 protesi quarant’anni fa, che erano praticamente dei pezzi di legno, posso dire che l’ingegneria
 biomedica ha fatto passi enormi a vantaggio della stabilità e della libertà di movimento di chi indossa
 un arto meccanico. In questo modo molti di noi possono lavorare normalmente, come me al
 Commissariato del Governo, Florian Planker in banca o Werner Winkler alla Röchling” spiega
 Kompatscher. O possono addirittura diventare atleti-imprenditori come nel caso di Michael Stampfer
 (42), specialista nello sci alpino, disciplina nella quale ha gareggiato a due edizioni delle Paralimpiadi
 nel 2006 e nel 2010. Anche Stampfer, prima dell’incidente sul lavoro che nel 2002 gli ha provocato la
 frattura di tre vertebre – cadde da un tetto di 10 metri in un cantiere dove lavorava come carpentiere
 – era molto sportivo: calcio, sci, tennis. Durante il soggiorno a Bad Häring, ecco anche per lui l’uscita
 dal tunnel che all’inizio gli aveva fatto sembrare la vita ormai priva di senso. “Mi sono reso conto che
 non avevo alcuna possibilità di piangermi addosso. Dopo il ricovero ero completamente autonomo
 per tutto: andare in bagno, fare la doccia, vestirmi, andare al lavoro o in vacanza, fare sport e tutto il
 resto. Allora ho capito che la mia vita poteva essere comunque interessante e mi sono subito
 dedicato allo sci a livello agonistico, entrando in nazionale e qualificandomi per la Coppa del mondo.
 Poi sono arrivate le Paralimpiadi e fino al 2010 mi sono dedicato a questo. Poi il tutto è diventato un
 po’ troppo impegnativo per me e quindi ho lasciato per dedicarmi completamente all’azienda”
 racconta. Sin dal 2006 Stampfer lavora alla VIST di Caldaro che fa la parte tecnica degli sci (attacchi e
 piastre), divenendone nel 2015 amministratore delegato. Anche per lui l’obiettivo è far innamorare
 dello sport suo figlio di quasi quattro anni. “Andiamo insieme in mountain bike anche nel bosco, io
 continuo a giocare a tennis: desidero che, se lo vorrà, possa provare tutti gli sport che faccio io”
 spiega Stampfer.
 Nello sci paralimpico un’altra figura quasi leggendaria è Christian Lanthaler (51) di Tirolo, eletto dalla
 Commissione Disabili della Confederazione Europa e Africa atleta disabile dell’anno 2016 e
 cofondatore nel 1990 del Gruppo Sportivo Disabili Alto Adige insieme a Markus Kompatscher.
 Lanthaler ha perso la gamba sinistra all’età di 5 anni salendo su una ruota come quelle che fanno
 funzionare uno ski-lift, al cui interno gira una corda d’acciaio: “Sono caduto tra la ruota e la corda,
 che mi ha tagliato quasi tutta la gamba sinistra. Sono cresciuto così fin da piccolo e ho sempre
 cercato di fare tutto con i miei amici”. Sette le edizioni delle Paralimpiadi cui Lanthaler ha partecipato
 dall’età di 18 anni in poi, conquistando due argenti a Salt Lake City e uno ai Mondiali 1996 a Lech in
 Austria nella discesa libera e nel Super G. Nel 1993 ha iniziato anche con lo sci nautico e oggi si allena
 ancora quotidianamente, oltre a lavorare da 17 anni nel suo negozio di orafo in via delle Corse a
 Merano. Fra i pionieri delle discipline alpine in Alto Adige c’è anche Bruno Oberhammer (54),
 ipovedente dalla nascita e atleta paralimpico dal 1984 quando partecipò ai Giochi invernali di
 Innsbruck. Allora le Paralimpiadi esistevano da appena vent’anni. “Venni mandato dall’Italia a quella
 edizione perché all’epoca in questo settore non esisteva praticamente nulla. La crescita però fu
 rapida, e già nel 1988 sempre a Innsbruck c’erano altri due atleti altoatesini ipovedenti, Manfred
 Perfler e Hubert Perfler” ricorda Oberhammer, il cui palmarès di 3 ori, 5 argenti e 3 bronzi lo rende
 autentico precursore dei successi italiani dei trentini Giacomo Bertagnolli e Fabrizio Casal che nel
 2018 hanno fatto sognare l’Italia con le loro discese appaiate sulle piste di PyeongChang. Ma per
 Oberhammer la fine della carriera agonistica non ha significato la fine del proprio impegno in ambito
 sportivo. Nel 1998 e fino al 2010 il cinquantenne bolzanino ha assunto il ruolo di responsabile tecnico
 di tutti gli sport invernali della nazionale paralimpica italiana in seno alla Federazione Italiana Sport
 Disabili. Insieme a lui un altro iniziatore delle discipline sportive per disabili fu Albert Herbert di
 Merano, che per rafforzare il settore instaurò collaborazioni con Austria e Germania, dove queste
attività erano più sviluppate. La disabilità però non è soltanto fisica (amputazioni, para- o tetraplegie
 congenite o causate da incidenti) o sensoriale (ipo- o non vedenza), ma anche mentale. “Sul totale
 delle persone disabili che in Alto Adige praticano sport, che sono diverse centinaia, almeno tre quarti
 ha una disabilità mentale e/o relazionale più o meno grave” riferisce Massimo Bernardoni, delegato
 bolzanino del Comitato Italiano Paralimpico (CIP). L’integrazione nella società delle persone con
 questo tipo di disabilità diventa sempre più prioritaria. Secondo gli ultimi dati della Lancet
 Commission pubblicati dal Sole 24 Ore i disordini mentali sono in forte crescita a livello globale e
 costeranno all’economia fino a 16 trilioni di dollari tra il 2010 e il 2030 fra costi sanitari diretti (incluse
 le medicine e le terapie) e indiretti (perdita di produttività, giorni di lavoro persi per malattia, spesa
 in welfare sociale, educazione, eccetera). Per il 2019 il World Economic Forum di Davos ha posto il
 tema delle patologie mentali in cima all’ordine del giorno della propria edizione 2019 sotto il motto
 “Take action on mental health”. Anche in questo caso lo sport può aiutare moltissimo, come nel caso
 delle attività all’aria aperta organizzate in collaborazione con la sezione del CAI di Bolzano per gli
 ospiti dei Centri di salute mentale e di riabilitazione psichiatrica del territorio (vedi articolo a parte).
 “Lo sport diventa così un vero strumento di integrazione, sotto tutti i punti di vista. Ogni attività
 praticata insieme ad altre persone, anche in casi gravi di autismo o di sindrome di down, oltre che
 avere un effetto positivo sul fisico e sulla psiche della persona, riesce anche a migliorare la sua
 situazione relazionale diventando un potente strumento inclusivo” conclude Bernardoni.
 Un’occasione in questo senso è rappresentata dai Giochi Olimpici Speciali, manifestazione
 multisportiva per atleti con disabilità intellettiva organizzata con cadenza biennale (ogni quattro anni
 l’edizione estiva e quella invernale, sfalsate di due anni esattamente come avviene per Giochi
 olimpici e paralimpici), cui prendono parte numerosi atleti altoatesini. Nell’edizione invernale 2017 di
 Schladming in Austria gli sportivi di casa hanno conquistato due ori (fra cui quello di Tobia Kostner
 nella 2,5 km di fondo a tecnica libera), un argento e un bronzo di Andreas Psaier e Peter Blaas nello
 sci alpino (slalom speciale), più altri due bronzi.
 Il Gruppo Sportivo Disabili Alto Adige è stato fondato nel 1990 da Markus Kompatscher, che dal 1992
 ne è presidente. L’organizzazione ha forma di associazione di volontariato in seno alla Federazione
 per il sociale e la sanità e si finanzia attraverso donazioni, sponsorizzazioni e il sostegno dell’Ufficio
 Sport della Provincia per l’attività ordinaria o l’organizzazione di manifestazioni specifiche. A queste
 fonti di finanziamento si aggiungono contributi dell’Ufficio persone con disabilità della Provincia di
 Bolzano per interventi straordinari come ad esempio l’acquisto di mezzi per le attività
 dell’associazione. La sede del Gruppo si trova a Campodazzo dove vive anche Kompatscher, 51 anni,
 che all’età di 11 anni ha perso la gamba dopo che la sua bici è stata investita da un’auto e che da
 allora ha praticato ogni genere di sport. Il GSDA conta fra i 120 e i 150 soci. Nell’ambito della Sezione
 di Bolzano dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti opera il Gruppo Sportivo Dilettantistico
 Non- e Semivedenti. Il Gruppo organizza iniziative sportive non agonistiche, progetta il tempo libero
 e organizza la partecipazione a competizioni sportive nazionali e internazionali. Il gruppo sportivo si
 articola nelle sezioni Torball, sport invernali (sci alpino, sci nordico), atletica leggera e
 tandem/scacchi/bersaglio/tempo libero. La squadra di Torball del GSNV Bolzano – BSSG Bozen ha
 vinto il titolo di Campione d’Italia 2017/18 e lo scorso novembre si è aggiudicata la Supercoppa
 battendo di misura la Reggina. Un’associazione che organizza attività sportive per persone con
 disagio intellettivo e relazionale è la sezione sport della Lebenshilfe Onlus. Grazie ai suoi responsabili,
 le persone con disabilità possono prendere parte a corsi, allenamenti e gare nazionali e internazionali
 di sci alpino, sci nordico, pattinaggio, atletica leggera, calcio, nuoto e ginnastica. Uno degli eventi
 principali é la  tradizionale manifestazione sportiva e di giochi per persone con disabilità, promossa
 dall’Ufficio persone con disabilità, dall’associazione Lebenshilfe e dalle Scuole per le professioni
 sociali “Hannah Arendt” e “Levinas”.

 
         
         
         
         
         
         
         
         
        
